22 feb 2014

Ucraina: una testimonianza

Una nazione non è fatta di confini politici, geografici o economici, una nazione è fatta di idee, di cuori, di senso di appartenenza: l’Ucraina che oggi combatte, soffre e spera è una nazione. 
Sono Gianluca Milillo, Tecnico Ambientale, Ex militare dei Corpi Speciali di una forza di polizia italiana, da 7 anni vivo l’Ucraina avendo sposato una ragazza della “terra dei Cosacchi” e da circa un anno la mia partecipazione e permanenza in quella terra è diventata una costante, per scelta, per lavoro e per amore. 

Oggi l’Ucraina è il triste centro del mondo, presentata dalla cronaca di una lotta epica tra il bene e il male, tra il desiderio di libertà e giustizia e l’oppressione di un regime che fagocita speranze e futuro. Non ho vissuto il bagno di sangue di Piazza Maidan, non ho respirato il fumo delle barricate di copertoni, non ho assaggiato il ferro dei Berkut, i mercenari al soldo del dittatore Yanukovich, non ho raccolto i miei amici dal selciato sporco e gelido di quella piazza, ma ho vissuto costantemente ogni momento che ha generato questo eccidio, per poi viverlo, momento per momento, attraverso la voce dei miei cari e attraverso le immagini rubate da telefonini e tablet. 
La mia è la testimonianza di chi è stato accolto come un figlio da quel popolo, di chi si è integrato senza sentirsi “alieno”, di chi, con occhi resi miopi da anni di comoda vita europea, ha aperto gli occhi alla fierezza di un popolo intransigente all’ingiustizia e fiero di lottare per l’affermazione più sacra a cui un uomo può ambire: la libertà. 
Le notizie di quella rivoluzione, osservate dai tabloid e televisioni italiane ed europee appaino filtrate, tendenziose e artificiali. 
Io non ho visto assolutamente ingerenze di altre nazioni nel popolo di Piazza Maidan, non ho visto emissari di altri paesi, bandiere e insegne estranee, non ho visto provocatori, se non i “Tituski”, altri mercenari assoldati dal regime per mischiarsi alla folla per generare i pretesti per le cariche dei Berkut. Infiltrati che in una prima fase, quando individuati, venivano “catturati” e sporcati in viso con la vernice  per essere identificati da telecamere e folla. Non ho visto nessuno degli Ucraini affermare che lottano per diventare “europei”, come invece continuano a miagolarci i media italiani: loro combattono per non essere governati da un Dittatore comunista filo Russo, che con pesanti modifiche alla costituzione ha avviato un processo per riconsegnare l’Ucraina alla Federazione Russa.  
Ho percepito la delusione di quel popolo verso i rappresentanti della loro opposizione, distanti dalla piazza e troppo vicini a microfoni, ho sentito la folla fischiare verso i loro leader quando i toni scivolavano verso il compromesso o l’accordo: oggi quel popolo si rappresenta da solo, mosso da un'unica anima che ripeto, io non ho visto inquinata o pilotata da nessun occulto burattinaio. 
Uomini e donne, vecchi e ragazzi, sacerdoti, militari disertori che combattono fianco a fianco dei loro familiari, emigranti che tornano per ricongiungersi ai propri cari che con mezzi di fortuna, da ogni dove vanno dove il senso d’appartenenza chiama. 
Nessuno dei media italiani, nella prima fase della rivolta, durata mesi, ha raccontato il gelo, con temperature di decine di gradi sotto zero, passate in tenda o sacco a pelo a presidiare Piazza Maidan, nessuno ha raccontato chi partiva dalle campagne per portare pane e verdure ai dimostranti, nessuno ha raccontato le barricate costruite con i mobili delle proprie case: gli averi di una vita! Ci sono voluti oltre 100 morti, un bagno di sangue, un apocalisse perché l’informazione divenisse più reale: se osservate le immagini di repertorio proiettate in Italia nei primi mesi di protesta, la piazza esplode di bandiere stellate dell’europa, se osservate oggi, che le immagini sono reali, dirette e immediate, noterete che di bandiere europee non ce ne neanche una. Io quelle bandiere europee le ho viste solo nei TG italiani: nelle piazze ucraine non le ho mai viste. Oggi l’Ucraina non è più la fattoria dove vivevo, il fiume ricco di vegetazione dove pescavo Lucci e Persici, non è più quella prateria sterminata dove andavo a cavallo, giocavo con i miei figli, non è più quel portico da cui mia moglie ci chiamava per annunciarci che il pranzo è pronto… 
Oggi l’Ucraina è l’orrore della guerra, del regime dittatoriale, del fuoco delle barricate, del lutto di madri. 
L’Ucraina non è quella governata da Yanukovich, l’Ucraina è quella difesa dal popolo di oppositori al regime, quel popolo che mi ha trasmesso la fierezza, la dignità, l’energia di non abbassare la testa davanti alla minaccia del nemico della libertà. 
Oggi che sono lontano il mio cuore è li, tra quegli eroi che mi hanno insegnato cos’è l’orgoglio nazionalista, il senso di appartenenza a un idea di libertà, il mio cuore e tra quelle barricate a gridare “potete ucciderci ma non renderci schiavi”. 
Guardo quel popolo ucraino vissuto da me così intensamente e così brevemente e mi sento vivo, pieno, ricco, poi guardo il paese dove vivo ora in Italia, osservo l’apatia della gente, l’ipocrisia, l’opportunismo e finalmente capisco: l’Italia non è una nazione. 
Gianluca Milillo

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