di Franciscus Pentagrammuli e Andrea Virga
Nonostante il silenzio pressoché totale della stampa e dei
media italiani, qualcosa sta succedendo
in Francia: da più di una settimana, milioni di manifestanti pacifici (fra cui
sono ragazzi e ragazze, padri e madri di famiglia, ebrei, musulmani, ragazzi di
parrocchia, omosessuali non politicizzati, preti) in tutto il paese protestano,
in gigantesche manifestazioni a livello nazionale o in più piccole azioni di
protesta simbolica locali, ma sempre notevoli per il numero dei partecipanti e,
soprattutto, per la loro costanza (non passa un giorno o una notte, senza che
vi sia almeno una manifestazione), contro la legge in discussione al parlamento
(discussione repentinamente accelerata ed ostacolata nel suo aspetto di
opposizione dal partito socialista al governo) sui matrimoni omosessuali.
Tali manifestazioni (marce disarmate, veglie notturne nei prati della capitale, contestazioni ad alta voce contro ministri o sostenitori della legge, letture pubbliche di classici della letteratura francese…) vengono puntualmente represse con la violenza dalla polizia (ormai stabilmente in assetto anti-sommossa, e con effettivi oltremodo numerosi e rinforzi mandati a Parigi da tutto l’Esagono) agli ordini del ministro degli Interni Manuel Valls. Violenza significa: gas lacrimogeni, manganelli, arresti, maltrattamenti vari… (qui un commovente e scandaloso esempio, risalente a giovedì sera; immagini che si commentano da sole in un breve video).
Tuttavia,
le autorità non smettono di sminuire tali proteste, togliendo sempre qualche
centinaio di migliaia di partecipanti al conto delle manifestazioni, e
demonizzando i contestatori come “estremisti e fascisti” (mai si erano visti in
Francia tanti fascisti come in questi giorni!).
Presentiamo
qui tre testimonianze, prese da un sito cattolico (sì: integrista!) francese:
Le rouge et le noir.
Si
tratta di due dei 67 ragazzi e ragazze arrestati e tenuti in guardia a vista da
Domenica notte e lunedì pomeriggio per aver preso parte ad una veglia pacifica
e silenziosa davanti all’Assemblea Nazionale, e di un terzo giovane che, ad una
di queste veglie, essendosi interposto fra un poliziotto e un deputato per
difendere questi dall’aggressione poliziesca, ha ricevuto percosse e
maltrattamenti ed è stato arrestato, per poi passare alcuni giorni in ospedale
a meditare sulla umanità dei servizi d’ordine della Repubblica.
* * *
Testimonianza di Carol Ardent
Arrestati a mezzanote e cinquanta, con Ambrogio Riva, Louis
Jaeger e Carl Moy-Ruifey, mentre manifestavamo pacificamente e silenziosamente,
malgrado la presenza di I-Télé e del senatore Yves Pozzo di Borgo, ecco ciò che
abbiamo vissuto.
Abbiamo aspettato più di tre ore fuori, davanti il
commissariato, senza sapere ciò che sarebbe successo. Siamo stati perquisiti, e
alcune delle nostre cose sono state confiscate, secondo lo stile proprio dei
gendarmi mobili: le nostre coperte della nonna sono state registrate quali
“coperte di tipo militare”. Ci aspettavamo un semplice controllo d’identità. E’
stato entrando nel commissariato che apprendemmo non trattarsi di normali
controlli di routine. Eravamo stati messi in guardia a vista. Secondo i
gendarmi mobili e i poliziotti, «Gli ordini vengono dall’alto».
Essi sono i primi ad essere sorpresi del trattamento inflittoci: preferirebbero
occuparsi dei veri delinquenti.
Veniamo messi in cella. Le 24 ragazze che ci accompagnano
stanno in una sola cella, ammassate fra manifestanti malate, scioccate,
spaventate. Fra il vomito e le lacrime, tengono duro. Gli uomini non si
demoralizzano, e continuano a cantare tutta la notte, accompagnati dai sorrisi
complici delle guardie. Altri improvvisano delle riunioni politiche
segretissime sotto lo sguardo delle telecamere della prigione.
Tuttavia, alcune cose ci ricordano che siamo in prigione:
non sappiamo l’ora, non possiamo comunicare con l’esterno; siamo privati della
nostra libertà di movimento, di un buon letto, di nicotina, e di buon cibo;
dobbiamo andare al bagno sotto la sorveglianza di una signorina, peraltro molto
accomodante e, soprattutto, non sappiamo quando potremo uscire. E’ dura.
I poliziotti, molto scocciati di doverci infliggere tutto
ciò, quando condividono tutte le nostre opinioni e sanno che noi siamo quella
gente riconoscente per il loro servizio, ci autorizzano ad uscire dalle celle e
a camminare nel commissariato senza manette. E’ ben poco.
Alle 17.10, sono stato fra i primi 10 manifestanti a
ritrovare la libertà. Un comitato d’accoglienza, raccolto dalla Manif Pour Tous
e dal Printemps Français, ci acclama. Ci teniamo a ringraziarli in questo
articolo: fu una vera gioia vederli.
* * *
Testimonianza di Louis Jaeger
00:30 - Il campeggio è folcloristico. I gendarmi arrivano in
massa e ci accerchiano rapidamente. Il senatore Yves Pozzo di Borgo, che
indossa una sciarpa tricolore, viene a darci sostegno. Ma un’altra persona,
sconosciuta e in abiti borghesi, si avvicina dalle linee dei gendarmi,
anch’egli con una sciarpa tricolore. Grazie al suo megafono, domanda ai
campeggiatori di disperdere l’assembramento. La confusione regna e i gendarmi
formano allora un cerchio più ristretto quindi ci trascinano via come cespi
d’insalata, noi che siamo aggrappati gli uni agli altri con le braccia e le
gambe. Una volta “riempito il cesto”, piuttosto rapidamente, i gendarmi
sloggiano gli ultimi recalcitranti, quindi partiamo.
1:00 - Iniziamo a vedere il commissariato: un grande portico
con cancelli ricoperti di filo spinato. I campeggiatori e le campeggiatrici
sono divisi dalle lunghe e compatte file di gendarmi e poliziotti. Dopo varie
ore di attesa, entriamo uno per uno nel commissariato. Nel frattempo, dei
membri delle forze dell’ordine ci parlano, in un’atmosfera più distesa. Non
capiscono. Da un lato, nessuno qua sembra conoscere il luogo, perché delle
unità dei diversi commissariati di Parigi sono state richiamate per l’opera.
Molta gente, per 67 campeggiatori. D’altro lato, noi discutiamo con loro e
alcuni ci esprimono il loro malcontento. Per uno di essi, questa immagine
ricorda dei momenti oscuri nella storia della polizia francese, per degli
altri, si tratta di una vasta operazione politica: «Non abbiamo mai
riservato un tale trattamento agli agitatori LGBT né mai messo in guardia a
vista per così poco, quando i manifestanti dell’estrema sinistra si sarebbero
meritati dieci volte di più, visto il loro comportamento. Ma gli ordini vengono
dall’alto». La parola è stata detta: «Guardia a vista».
Stupore. Pensavamo di essere sottoposti ad un semplice controllo d’identità. I
pochi uffici sono pieni da scoppiare, e gli agenti sono stupefatti.
3:15 - Arrivo infine davanti ad un agente di polizia
giudiziaria per firmare le carte riguardanti la mia guardia a vista. Mi mandano
in una sala sorvegliata assieme a degli altri, poi veniamo minuziosamente
perquisiti: cellulari, gioielli, cinture, stringhe delle scarpe… tutto è
proibito. Durante questa procedura, l’agente mi confida il suo disappunto: «Qualcosa in questo paese non funziona: perché eravate là? Per il
matrimonio omosessuale? E’ disgustoso, sono desolato di dover farvi questo.
Tutto passerà, non preoccuparti». Capisco allora il contesto: degli
agenti chiamati apposta per sorvegliarci e schedarci, un vasto dispositivo che
oltrepassa largamente i quattro funzionari di polizia dei trasporti che
gestiscono normalmente questo commissariato in cui ci troviamo.
3:45 - Sono senza orologio, ormai senza più la cognizione del
tempo, ed entro in una cella umida, untuosa, putrida. Una sala con delle panche
attaccate ai muri, 20 metri quadrati più o meno, nella quale sono buttate 21
persone. La cella delle ragazze deve accoglierne 24, con delle tracce e l’odore
del vomito come antipasto per le lunghe ore d’attesa in queste stanze umide e
in cui regna un calore spossante. Le altre stanze tengono 14 (che non hanno
abbastanza posto per stare tutti seduti) e 7 persone, rispettivamente. La respirazione
e la condensa in uno spazio tanto ristretto rendono rapidamente l’aria
irrespirabile.
Comprendiamo che dovremo passare delle lunghe ore qua
dentro, ma il coraggio non manca. Iniziamo allora il repertorio dei canti
sboccati, tradizionali, militari: “La strasbourgoise”, “Fanchon”, “la Madelone”
(perché avevamo veramente molta sete), e “les Partisans blancs” e il “Kyrie des
Gueux”, qui ci danno dei colpi al cuore.
A contatto con gli agenti di polizia, constatiamo il loro
stupore: «Voi non siete proprio la nostra clientela abituale», «E’ raro sentire dei canti dalle celle, non c’è male!». Bisogna
dire che tutto l’edificio risuonava di quelle parole francesi, sia dalla cella
delle ragazze che da quelle dei maschi.
Faccio conoscenza con i miei compagni di cella. Ci sono
diversi motivi, ma soprattutto una vera inquietudine: la guardia a vista si
annuncia difficile, ma noi stringiamo i denti, letteralmente, perché non
avevamo scelta. Non posso che rimanere seduto per quasi 6 ore, degli altri
dormono sul pavimento, pieno di capelli, di immondezze, di sporcizia, e
impregnato di un forte odore d’urina. Un agente ci informa che un’altra cella è
occupata dagli aggressori che hanno accoltellato Samuel Lafont (un deputato di
destra fortemente contrario alla legge sui matrimoni gay n.d.t.), ma anche una
persona arrestata per violenza sessuale. Siamo in buona compagnia.
Verso le 10 - Dopo una notte e una mattinata nelle celle
lugubri e insopportabili dove non è stato possibile dormire, un superiore fa
aprire tutte le porte e ci permette di sederci nel corridoio areato: finalmente
respiriamo. Un medico è venuto a visitare la cella dove sono ammassate le
ventiquattro ragazze. Ha ordinato la loro evacuazione, tanto l’aria era irrespirabile
e le condizioni di detenzione scandalose. Molto fortunatamente, lo stesso
regime di aria pulita è applicato anche a noi.
Questo stesso agente ci porta dei piatti per il pranzo,
durante il quale il direttore, con il berretto da ufficiale di polizia in
testa, passa fra le gambe dei “delinquenti” facendo qualche riflessione sul
nostro “trattamento di favore”, in una atmosfera glaciale.
La comprensione degli agenti di polizia e la loro prossimità
ci permettono di pazientare più facilmente. Durante gli interrogatori dei
campeggiatori davanti agli agenti di polizia giudiziaria, continuiamo a tentare
di dormire qualche minuto sul pavimento.
Verso le 17 - Cominciamo a partire quindi ci ritroviamo
finalmente all’aria aperta e alla luce del sole, mentre numerosi sostenitori ci
applaudono. Le telecamere i giornalisti ci saltano addosso: «A quale
gruppo appartenete?», «Come vi chiamate?», «Siete
tutti cattolici, vero?». Abbiamo ritrovato il mondo esterno, un altro calvario.
* * *
Lettera di un manifestante molestato
Ecco una lettera diretta al deputato Poisson, da parte di
una persona vittima delle violenze poliziesche di ieri sera.
Signor Deputato,
Ho avuto il piacere di incontrarvi ieri e di salutarvi nel
ringraziarvi della vostra presenza alla manifestazione del 16. Ho dimenticato
di felicitarmi per la vostra proposta di legge sulla protezione dei deputati
che portano il nome d’un animale aquatico, finalmente una legge pertinente!
Allorché la situazione è degenerata, ero sul vostro fianco
destro e mi sono interposto allorché voi – deputato della nazione, siete stato spinto.
In quel momento, sono stato colpito al viso senza avvertimento da un celerino.
Poi volendo ritirarmi, ho ricevuto altre tre colpi alla testa della stessa
forza (forse non dalla stessa persona). Infine, capendo che intendevano
“acchiapparmi”, m’hanno messo a terra, ma non essendo sufficienti 4 celerini a
prendermi, uno m’ha infine tirato e trascinato per i testicoli. Per essere
“deposto” in un furgone speciale (posto sul lato sinistro dell’ingresso della
metropolitana, e non contenente nessuno). Una volta ripreso fiato, sono stato
rapidamente rilasciato, mentre mi obbligavano a prendere la metro, allorché gli
ho detto che non stavo bene. Vi assicuro che non ho sferrato alcun colpo e le
mie uniche parole dovevano essere: “è un deputato”.
Appena uscito dal furgone sono stato fotografato e interrogato
da un “giornalista fotoreporter”. La redazione di questa missiva mi è
difficile, poiché esco ora dall’ospedale dove ero stato messo agli arresti fino
al 18 incluso.
Ecco le foto di questa serata in allegato, utili ad ogni
scopo.
Cordialmente
* * *
Le testimonianze raccolte mostrano dunque che c’è stato un
accanimento nei confronti dei manifestanti del tutto sproporzionato rispetto al
loro comportamento, il quale è stato del tutto pacifico e non-violento.
Inoltre, l’atteggiamento generale delle forze dell’ordine indica che questi
veri e propri atti di violenza e di arbitrio, quali gli arresti di massa, non
sono casi isolati o eccessi da parte di agenti di polizia violenti o stressati
o di qualche ufficiale troppo zelante. Gli ordini di trattare con durezza i
manifestanti, come se fossero dei criminali comuni, vengono direttamente
dall’alto. Né è un caso che le questure abbiano pubblicato stime eccessivamente
basse per quanto riguarda la partecipazione numerica alle manifestazioni.
Tutto questo non deve stupire. Il Ministro degli Interni è
il liberalsocialista Manuel Valls, esponente di una sinistra liberale sul piano
economico-politico, radicale sul piano sociale-morale e postmoderna sul piano
filosofico. Egli rappresenta quindi una punta di diamante di quella che Del
Noce ha definito “democrazia radicale di massa”. Valls, affiliato al
Grand’Oriente di Francia e invitato diverse volte a presenziare alle riunioni
del Club Bilderberg, ha più volte espresso le sue posizioni dichiaratamente
laiciste e secolariste, affermando di voler inasprire le leggi laiciste del
1905, le quali a suo dire sarebbero troppo spesso aggirate. La sua intolleranza
verso i credenti, siano essi cristiani o musulmani è ben nota. Questo spiega in
parte perché siano state adottate simili misure poliziesche.
Tuttavia, questi fatti s’inquadrano in un contesto ben più
generale, che tutti noi abbiamo avuto modo di sperimentare. Si tratta di quel
clima di propaganda e di distorsione della realtà che permea determinati temi,
cambiando attraverso l’uso sapiente dei media il significato delle parole, e
arrivando a condannare e demonizzare non tanto i veri estremisti, quanto coloro
che affermano posizioni del tutto pacate e normali. Così, chi si oppone –
per fondati motivi sociali, economici e culturali – all’immigrazione di massa,
è automaticamente considerato un razzista; mentre chi manifesta contro le
proposte di legge omosessualiste viene tacciato di omofobia, anche se è
assolutamente tollerante nei confronti delle persone con tendenze omosessuali.
Dalla denigrazione mediatica all’odio e alla violenza, come mostra la storia
del Novecento, il passo è breve.
** FONTE= http://www.campariedemaistre.com/2013/04/le-manif-pour-tous-alcune-testimonianze.html
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