Giuseppina Ghersi ebbe forse (o probabilmente) una sola
colpa nella sua vita: aver scritto un tema che la maestra inviò al
Duce, ottenendone i complimenti, seppure la piccola venne sospettata di collaborazionismo con i nazifascisti, già dal 1944.
In ogni caso, prigioniera dei partigiani morì terribilmente, dopo
atroci violenze, nel campo di prigionia dove venne rinchiusa con i
genitori, miracolosamente scampati alla stessa fine:
… erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta, evidentemente
avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a
cancellare la sua giovane età… Una maschera di sangue, con un occhio
bluastro, tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno. Ricordo che non
riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata
marionetta, con un braccio irrigidito verso l’ alto, come a proteggere
la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della
mano…
Gianpaolo Pansa, nel suo Il Sangue dei Vinti: «… La mattina del 25
aprile, una ragazzina di 13 anni, Giuseppina Ghersi, studentessa delle
magistrali alla “Rossello”, venne sequestrata in viale Dante Alighieri e
scomparve. Apparteneva a una famiglia agiata, commercianti in
ortofrutticoli. I Ghersi non erano neppure iscritti al PFN. Soltanto un
loro parente, Attilio M., 33 anni, operaio, aveva la tessera del
partito. (…) Forse era proprio costui all’origine del sequestro
di Giuseppina. Secondo Numa, che ha ricostruito l’intero episodio,
durante la guerra civile la ragazzina poteva aver visto qualcosa che non
doveva vedere e l’aveva riferito all’Attillio. (…) I rapitori
di Giuseppina decisero subito che lei aveva fatto la spia per i fascisti
o per i tedeschi. Le tagliarono i capelli a zero. Le cosparsero la
testa di vernice rossa. La condussero al campo di raccolta dei fascisti a
Legino, sempre nel comune di Savona. Qui la pestarono e la
violentarono. Una parente che era riuscita a rintracciarla a Legino la
trovò ridotta allo stremo. La ragazzina piangeva. Implorava:
“Aiutatemi!, mi vogliono uccidere”. Non ci fu il tempo di salvarla
perché venne presto freddata con una raffica di mitra, vicino al
cimitero di Zinola. Chi ne vide il cadavere, lo trovò in condizioni
pietose.
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