Citando
ampi brani dello scritto di Arturo Reghini intitolato: IL LINGUAGGIO
SEGRETO DEI FEDELI D’AMORE apparso sulla rivista UR con lo pseudonimo
Pietro Negri, ci occuperemo di un argomento che oggi come allora ha
avuto scarsi approfondimenti, nonostante abbia suscitato e continui a
suscitare in Italia e in Europa una varietà di commenti e a sollevare
appassionati dibattiti. Come avviene in casi come questi, da una parte
troviamo gli scettici che reagiscono irritati di fronte alle novità e i
negazionisti per partito preso, dall’altra i ricercatori assetati di
verità: in una riedizione in chiave moderna dei guelfi e ghibellini essi
si combattono senza esclusioni di colpi.
Lo
stesso Luigi Valli, nel 1926 (due anni prima della pubblicazione del
“Linguaggio Segreto”) aveva già messo in subbuglio l’ambiente letterario
conservatore con il libro “La chiave della Divina Commedia”;
procedendo felicemente lungo la linea interpretativa tracciata dal
Foscolo, seguita dal Rossetti, dal Perez, dal Pascoli, era riuscito a
porre in evidenza trenta simmetrie tra l’Aquila e la Croce ed a
rintracciare, almeno in parte, sotto il velame delli versi strani la dottrina nascosta di Dante.
Secondo il Valli, il pensiero di Dante abilmente occultato nel suo
linguaggio, sarebbe sinteticamente questo: la Croce si è dimostrata
impotente a redimere di fatto l’umanità, e non può redimerla da sola.
Occorre il concorso dell’Aquila, ossia dell’autorità e della giustizia
imperiale; occorre ristabilire l’Impero, ritogliere alla chiesa
l’infausta dote datale da Costantino; avrà fine senz’altro la
corruzione del clero e l’umanità, grazie alla doppia virtù della croce e
dell’aquila potrà finalmente salvarsi.
Dante denunciava apertamente i predicatori di ciance che non possedevano il verace intendimento dato da Cristo al suo primo Convento,
e pensava all’intervento dell’Aquila imperiale per salvare l’umanità.
Questa concezione ardita e per quei tempi eterodossa inspirava non solo
gli scritti ma l’azione stessa di Dante, intesta a realizzare il
programma con l’intervento dell’Ordine del Tempio prima e dello stesso
Imperatore poi.
Seguendo il filo di questo studio, la storia e le lotte di quei tempi,
oggetto de “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore”,
prendono un aspetto inaspettato ed insospettato. Con un lavoro paziente,
metodico ed imponente l’autore, riprendendo l’opera incompresa e
negletta di Gabriele Rossetti, dimostra l’esistenza nella letteratura
italiana degli inizi di un linguaggio segreto, di un gergo settario, il
gergo dei Fedeli d’Amore. Ne decifra il senso, l’allegoria dottrinale
settaria e politica e riporta alla luce un movimento, ispirato alla
tradizione italica, pitagorica e neo-platonica.
Di conseguenza, i poeti d’amore (tra i quali eccellono Dante e Cecco
d’Ascoli), gli scrittori del “dolce stil novo”, che sembravano perduti
nel canto di un loro amore assurdo, manierato e inconsistente, si
trasformano in paladini della loro Fede Santa.
L’amore di cui ardeva il cuore dei Fedeli d’Amore ricorda i versi
mistici della poesia persiana e quelli del “Cantico dei Cantici”.
Gabriele Rossetti lo fa discendere dal mistero dell’amor platonico che,
nonostante la trasparente bellezza e la sublime perfezione, continua
ancor oggi a sollevare curiosi dubbi e indecenti interrogativi.
* C o N t I n U a ----- >
http://www.ereticamente.net/2012/03/dante-e-i-fedeli-damore.html
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