Una cosa che nessuno dice mai riguardo alle tasse, è che esse non
servono a far entrare denaro nelle casse dello stato, ma ad altri scopi,
di cui abbiamo parlato in articoli precedenti sulla crisi finanziaria.
Voglio però soffermarmi nuovamente su questo argomento perché è
fondamentale per capire il sistema in cui viviamo e gli scopi di chi ci
governa.
Risulterà quindi chiaro dopo questo articolo anche a cosa serve l’IMU.
Tutte
le fonti ufficiali (mass media, politici, ma anche testi di economia e
di scienza delle finanze, nonché diritto tributario) sostengono che le
tasse servono a far avere soldi allo stato, che verranno poi tramutati
in servizi pubblici ai cittadini (strade, scuole, ospedali, ecc.).
Questo errore concettuale di fondo, ad esempio, non solo la si trova
in qualsiasi manuale di diritto tributario per le università, ma anche
su wikipedia alla voce “tasse”, dove non esiste neanche l’ombra di una
voce contraria.
Appare quindi logico ai più, quando lo stato è in
crisi, che la soluzione inevitabile (oltre a quella del taglio alle
spese) sia quella di un aumento della tassazione per reperire nuovi
fondi.
In realtà questa mossa non solo è sbagliata, ma produce
effetti talvolta completamente opposti rispetto al risultato che – si
dice a parole – vuole essere ottenuto.
Facciamo un esempio. Non
c’è bisogno di un genio per capire che un aumento delle tasse del 2 per
cento non produce affatto un aumento delle entrate nelle casse dello
stato di pari importo. L’unico effetto che viene realmente prodotto
invece è quello di una contrazione dei consumi del 2 per cento;
l’aumento reale delle entrate statali, invece, si aggira attorno allo
0,01 per cento, perché va ad incidere esclusivamente sui capitali
immobilizzati e non su quelli in circolazione.
Un altro esempio preciserà meglio il concetto introdotto.
Se al dipendente pubblico che guadagna 1000 euro lordi la pressione
fiscale aumenta dal 30 al 33 per cento, il dipendente invece di 700 euro
ne incasserà 670; tale somma è così bassa che costui sarà costretto a
ridurre i consumi. Quelle 30 euro finiranno direttamente nelle tasche
dello stato, e non verranno spese in consumi vari.
Ma se tali
soldi fossero stati spesi in beni di consumo, sarebbero comunque finiti
nelle tasche dello stato, sia pure per via indiretta; infatti sarebbero
andati ad un commerciante (ad esempio al pizzaiolo) che su quelle trenta
euro avrebbe pagato circa il 50 per cento di tasse (quindi 15 euro);
con le rimanenti 15 euro il pizzaiolo avrebbe acquistato altri beni, su
cui sarebbero state ugualmente pagate tasse, e cosi via all’infinito.
Facciamo un altro esempio. Se io spendo 1000 euro di benzina, circa
750 vanno direttamente in tasse. Le altre 250 vanno al benzinaio, che
ne darà circa la metà allo stato, sempre in tasse. Con le restanti 125
il benzinaio comprerà dei beni (cibo, un motorino, libri per la scuola
dei figli); questi beni saranno il guadagno di altri imprenditori che
pagheranno a loro volta tasse, che compreranno a loro volta beni, in un
circuito infinito.
In pratica tutto il denaro in circolazione va
sempre, prima o poi, allo stato. Il modo migliore per aumentare le
entrate statali, quindi, non è quello di aumentare l’IVA o le tasse, ma
quello di incrementare i consumi, e colpire il mercato nero.
L’unico
denaro che non finisce prima o poi nelle casse dello stato è quello che
il cittadino riesce a immobilizzare e mettere da parte; quindi un
aumento del prelievo fiscale sulle classi più deboli non ha alcun senso,
perché non produce un aumento delle entrate statali ma unicamente un
decremento dei consumi (penalizzando sia il cittadino sia
l’imprenditore).
L’aumento delle tasse ha senso solo se viene
applicato alle classi agiate, quelle che riescono a mettere da parte
soldi in banca.
In qualunque caso, in ogni sistema fiscale degno
di questo nome, esiste una fascia protetta esente da tasse, che è quella
dei redditi minimi, perché è un principio ovvio che non ha senso far
pagare le tasse a chi guadagna poche centinaia di euro al mese, dato che
i guadagni della classi povere finiscono tutti in consumi (e quindi
vanno allo stato) e non si traducono in risparmi.
Da noi, fino a
qualche anno fa, erano esenti le fasce di reddito più basse. Da qualche
anno invece il prelievo fiscale opera anche su chi ha redditi di poche
centinaia di euro al mese, perché il reale motivo è distruggere
psicologicamente il cittadino e piegarne la volontà.
Non a caso i
sistemi fiscali più intelligenti (come quello canadese, bulgaro o
australiano, per fare qualche esempio) non solo hanno aliquote basse
(spesso l’aliquota massima è il 35) ma prevedono sgravi fiscali per chi
investe; in alcuni paesi infatti l’utile delle imprese non è tassato se
l’imprenditore reinveste i guadagni in ulteriori attività produttive. Il
motivo è molto semplice: se l’imprenditore anziché accumulare soldi li
reinveste, quei soldi andranno prima o poi allo stato.
Ad
esempio, se Tizio ha guadagnato un milione di euro, darà il 30 per cento
al fisco. Se invece quel milione lo investe nuovamente non viene
tassato. Perché? Perché con quel milione verranno acquistati macchinari,
capannoni, pagati stipendi; i macchinari faranno guadagnare
imprenditori che pagheranno le tasse allo stato, i capannoni idem, gli
stipendi verranno spesi dai dipendenti in beni di consumo. In sostanza,
se lo stato decide di tassare quel milione di euro di utili, il
risultato sarà che nelle sue casse andranno solo 300 mila euro; se quel
milione non viene tassato, ma reinvestito, nelle casse statali andrà
probabilmente quasi tutta la somma reinvestita.
In conclusione,
in molti casi per lo stato è più conveniente non tassare piuttosto che
tassare. Senza arrivare agli eccessi di paesi come Bermuda, dove non
esiste tassa sul reddito, o Tonga, dove fino a qualche anno fa c’era
un’imposta sul reddito del 2 per cento, ci sono esempi di sistemi
fiscali che riescono a sopravvivere meglio del nostro, avendo un
prelievo fiscale che si aggira attorno al 20 per cento di media; e in
alcuni casi, come accade nel Wyoming, possono non esistere tasse sul
reddito ma solo imposte indirette.
In Italia invece le tasse
assumono connotazione che sfiorano il ridicolo; l’imposta di registro,
ad esempio, che per i terreni è addirittura del 17 per cento (quindi si
paga circa il 20 per cento se ci si sommano le imposte ipotecarie,
catastali, e spese notarili) è un balzello immorale. Fino a qualche anno
fa avevamo addirittura la tassa sugli accendini, e fino all’avvento del
governo Berlusconi i commercianti di prodotti alimentari avevano
addirittura una… tassa sui frigoriferi (sic!).
In altre parole,
dal punto di vista fiscale fino a qualche anno fa eravamo considerati il
peggiore paese del mondo, una vera barzelletta per gli stranieri.
Successivamente le regole dell’Unione Europea hanno eliminato alcune
tasse prive di logica, come l’IVA al 40 per cento sulle auto di lusso,
ma di fondo siamo uno dei paesi peggiori del mondo da questo punto di
vista.
Le tasse quindi – perlomeno quelle di un sistema
demenziale come quello italiano – servono unicamente a tenere i
cittadini in condizioni di sudditanza, per non permettere che questi
abbiano tempo per pensare, evolvere, fare attività politica, informarsi.
I cittadini devono sgobbare a testa bassa sei giorni su sette, per poi
correre trafelati al supermercato il sabato sera e permettersi al
massimo una domenica di svago, dove tutto potranno fare tranne che
evolvere.
Il discorso vale anche per gli imprenditori, che
sebbene godano di agi materiali talvolta superiori a quelli dei
dipendenti, spesso lavorano febbrilmente anche la domenica pur di far
funzionare i loro lussuosi imperi, complicatissimi da gestire a causa
delle centinaia di balzelli, controlli, normative, pastoie, ostacoli,
posti dalla burocrazia.
Le reali funzioni dell’IMU.
A questo punto è facile capire a cosa serve la recente IMU sugli immobili posta a carico di imprese e famiglie.
Scopo del governo attuale è sfasciare l’Italia definitivamente, e questo è ben chiaro a tutti.
Ma perché proprio con l’IMU?
Il motivo è presto detto.
Occorre
tenere presente che le imprese hanno margini di utili abbastanza
ridotti. Un grande magazzino, ad esempio, pur avendo incassi
stratosferici, di milioni di euro al giorno, ha al contempo anche costi
altrettanto stratosferici (dipendenti, luce, acqua, tasse varie, a cui
deve aggiungersi il costo vivo delle merce deperibile che spesso viene
buttata e il costo della merce invenduta).
Un’impresa che abbia
un margine di utile netto all’anno, rispetto ai capitali investiti, del
10 per cento, può essere considerata florida.
Molte aziende anche
di grosse dimensioni, hanno però margini di utili netti che si aggirano
attorno al 2 per cento e anche meno.
Molte imprese agricole, da qualche anno, possono dirsi fortunate se raggiungono il pareggio del bilancio.
Questo discorso era valido fino a qualche anno fa.
Da
quando è iniziata la crisi economica molte imprese hanno ridotto i loro
margini di guadagno, hanno iniziato a licenziare personale, a tagliare
le spese, e in alcuni casi gli imprenditori hanno iniettato liquidità in
aziende in passivo per tentare di stare a galla (in altre parole hanno
attinto dai loro risparmi personali per risollevare il bilancio
aziendale in perdita).
Molti imprenditori hanno vari immobili in affitto e vivono con le rendite immobiliari.
Ora
la tipologia della media impresa italiana è questa: l’imprenditore ha
una o più aziende principali e una o più aziende secondarie; negli anni
ha comprato immobili (parte li tiene sfitti per la famiglia, parte li ha
riaffittati); in alcuni casi ha trasferito il capannone dal vecchio
stabile (che ha dato in affitto) ad uno più grande.
In questo momento di crisi la maggior parte degli imprenditori ha problemi di liquidità.
Molti affittuari non pagano più l’affitto; molti smetteranno presto di pagarlo.
In
altre parole l’IMU sottrae liquidità agli imprenditori, che non
potranno utilizzare tali soldi per reinvestire; e in alcuni casi, alcuni
si troveranno in difficoltà perché non avranno i liquidi sufficienti
per affrontare l’esborso imprevisto.
Il paradosso è che molti
imprenditori dovranno pagare l’IMU su immobili da cui non percepiscono
più alcun canone di locazione proprio a causa della crisi economica;
oltre al danno anche la beffa quindi. Poco tempo fa un imprenditore mi
diceva che doveva pagare l’IMU sull’immobile dato in locazione
all’ufficio di collocamento, che però non paga l’affitto da mesi; ma il
paradosso è quello di un imprenditore a cui non viene pagato l’affitto
da circa un anno, per un immobile locato addirittura alla Guardia di
Finanza; in compenso l’IMU per un immobile di quelle dimensioni ammonta a
decine di migliaia di euro; in sostanza, il proprietario si ritrova a
sborsare decine di migliaia di euro di IMU, senza avere una
corrispondente entrata come guadagno.
Stesso discorso, con le dovute varianti, vale per le famiglie.
In
linea generale la famiglia media italiana è proprietaria della casa in
cui vive, e se ha più figli spende quasi tutto quello che guadagna in
spese scolastiche, vacanze, vitto ecc.
L’IMU serve quindi ad accelerare la crisi. A sottrarre liquidità alle famiglie e alle imprese, per accelerare lo sfascio.
Quei
pochi imprenditori che avevano da parte dei liquidi e riuscivano a non
vivere contando sui prestiti bancari, saranno costretti a mettere mano
ai loro liquidi per pagare l’IMU sui loro immobili, in questo periodo
spesso improduttivi per insolvenza dell’affittuario.
Quelli che
non hanno liquidi saranno costretti a vendere qualche immobile (il che
significa, in un periodo di crisi, che c’è il rischio che non riescano a
vendere alcunché) oppure a chiedere un ulteriore prestito alle banche,
indebitandosi ancor di più.
Nelle casse dello stato entreranno
probabilmente meno soldi di prima, accelerando il caos e accelerando
quell’effetto domino che porterà tutta l’economia italiana al collasso
totale nei prossimi mesi. Ordo ab chao.
*Fonte: paolofranceschetti.blogspot.it
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