22 mar 2014

E' lecito resistere alla tirannia?


“Il cristiano non deve sempre tirarsi indietro, far la parte del moderato, del perennemente condannato alla perplessità, all’astensione e all’impotenza, lasciando così praticamente le fila del movimento della storia in mano a coloro che sono meno dotati di scrupoli; il cristiano, quindi, non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando sia necessario in modo assoluto”
(padre Reginaldo Pizzorni).



LA TIRANNIA TEMPORALE

Secondo S. Tommaso la miglior forma di governo in sé è la monarchia, ma essa può degenerare nella peggior forma di governo: la tirannia di uno solo (S. Th. , II-II, q. 64, a. 1, ad 3).
L’essenza della tirannide si esprime nei comandi rivolti dall’Autorità ai sudditi non in quanto soggetti della società bensì come schiavi (ibidem, ad 5). I commentatori dell’Angelico, ad esempio il Gaetano e Suarez distinguono tra tiranno d’usurpazione e tiranno di governo.


1°) Il Tiranno d’usurpazione
Usurpare significa rubare il possesso di qualcosa e specialmente del potere spettante ad altri, mediante l’uso abusivo di esso (dal latino usus = uso o potere; rapere = rapire). L’usurpatore è l’ingiusto accaparratore di un potere legittimo (per esempio, invade una Nazione, rovescia un governo legittimo e ne usurpa il potere, oppure promulga leggi senza averne la facoltà), egli comanda senza avere autorità. All’inizio del suo operare, egli è senza titolo legittimo di governo (“usurpatore in atto di usurpare”), ad esso bisogna resistere sempre; ma dopo un certo tempo, se non è stato scacciato, può giungere ad imporsi come stato di fatto e la Nazione può accettarlo come suo capo legittimo.
2°) Il Tiranno di governo
È un sovrano legittimo, regolarmente investito del potere. Ma egli abusa dell’autorità, non governando per il bene comune dei sudditi, bensì per il proprio o facendo leggi contrarie alla Legge naturale e divina.
È il caso della legge sull’educazione sessuale ai bambini di 4 anni.
“L’usurpatore ancora in atto di usurpare è un tiranno, al quale non si deve obbedienza. Ma se sopraggiunge l’accettazione dello stato di fatto da parte del popolo, essa consacra la sua legittimità e gli conferisce il diritto all’obbedienza dei suoi sudditi”.
Il fine dell’Autorità
L’autorità, la cui missione è la salus populi suprema lex, ha dei limiti. Il ruolo del potere e la sua ragion d’essere è di spingere ognuno verso il bene comune. “Se l’autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d’essere”.
Perdita della legittimità
“Gli scolastici, da S. Tommaso a Suarez, non esitano a dire che la Nazione ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno. Poiché ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo. Ma bisogna che l’abuso sia grave, permanente ed universale”.
La resistenza al tiranno
Nell’XI sec., Manegold da Lautenbach, equiparava il principe-tiranno “ad un guardiano di porci; se il pastore, invece di far pascere i porci, li ruba, li uccide o li smarrisce, è giusto rifiutargli di pagargli il salario e scacciarlo ignominiosamente”.
S. Tommaso nel De regimine principum insegna che “se appartiene di diritto alla moltitudine di darsi un capo, essa può, senza ingiustizia condannare il Principe a disparire, o può mettere freno al suo potere se ne usa tirannicamente”.
Il padre gesuita Andrea Oddone ha scritto nel 1944-45 che la resistenza passiva è sempre lecita nei riguardi di una legge ingiusta. La resistenza attiva legale, in casi in cui la religione è messa in pericolo, è lecita, anzi, occorre “deplorare – come insegna Leone XIII in Sapientiae christianae del 1890 – l’attitudine di coloro che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”.
La resistenza passiva
Essa consiste nella non esecuzione della legge ingiusta, fino a che non vi si è costretti con la forza; ma nel caso in cui la legge ingiusta comandi qualcosa di peccaminoso, “un atto intrinsecamente cattivo in sé, allora la resistenza non solo è permessa, ma è sempre obbligatoria; non si possono eseguire ordini criminali”.
La resistenza attiva non violenta
Essa consiste in un’opposizione positiva alla legge ingiusta, compiuta sul terreno delle leggi o con mezzi legali, per es. pubbliche riunioni, proteste, petizioni ricorso ai tribunali, denunce pubbliche, ecc… «occorre non rifugiarsi nell’indifferenza e nell’inerzia di coloro che non sanno o non vogliono organizzarsi e lottare per una causa nobile e giusta, per timore e viltà di affrontare i sacrifici e i maggiori doveri che questa lotta porta con sé. [...] “A chi cadrebbe in animo di tacciare i cristiani dei primi secoli di nemici dell’Impero Romano, solo perché non si curvavano dinanzi alle prescrizioni idolatriche, ma si sforzavano di ottenerne l’abolizione?”» (Leone XIII, Lettera ‘Notre Consolation’ ai cardinali francesi, 3 maggio 1892)”.
d. Curzio Nitoglia

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