Nicola Cospito ed il debito
Fino a
poco tempo fa i titoli di Stato erano la forma d’investimento in cui
confluivano i risparmi delle famiglie. Secondo la Banca d’Italia, nel 1995
il 90% del debito pubblico era nelle mani di investitori italiani. La
storia economica ci insegna che, dall’Illuminismo in poi, questo rapporto
ha rappresentato il più forte legame tra gli Stati e i loro popoli nelle
nazioni democratiche. Ciò perché i cittadini, essendo creditori dello
Stato, erano cointeressati alla gestione delle finanze pubbliche. E lo
Stato, dal canto suo, era in un certo senso “obbligato” a fare buon uso
dei fondi introitati attraverso il debito. Gli obiettivi di governanti e
governati finivano così per coincidere. In Italia, dove più di ogni altro
Paese in Europa tali interessi sono tra loro distanti, questo meccanismo
ha portato ad alcune distorsioni. Per coprire il deficit senza aumentare
il debito si sarebbe potuto aumentare le tasse. Ma così i governi
avrebbero perso voti. Quindi, meglio indebitare lo Stato, lasciando i
soldi in tasca agli italiani e illudendoli che avrebbero potuto
riempirsele investendo in Bot e Btp. Ma così facendo le tasse non potevano
che aumentare comunque, poiché aumentando il debito, aumentano gli
interessi da pagare. Con l’aggravante di appesantire il bilancio statale
con un onere per gli interessi che entro l’anno supererà gli 82 miliardi
di euro. Nel frattempo ci hanno guadagnato i ricchi e ci hanno perso i
poveri: i titoli di Stato sono stati accumulati da banche, assicurazioni o
nababbi per avere una rendita sicura con interessi alti. Interessi,
ovviamente, a carico dei contribuenti. Cioè dei lavoratori dipendenti,
quelli che le tasse le pagano sempre. E che possedevano solo il 10% del
debito totale. La rendita sicura è stata garantita anche da una tassazione
ridicola, fissata in un’aliquota unica del 12,5% dalla riforma Visco sul
finire degli anni Novanta. Con buona pace del criterio di progressività
sancito dalla Costituzione. In pratica gli italiani più ricchi hanno
pagato meno tasse, in compenso facendo raddoppiare il debito. Un
cortocircuito finanziario che ha contribuito a rendere i ricchi ancora più
ricchi e i poveri più poveri. Non è un caso se l’Ocse rivela che negli
ultimi 15 anni in Italia la differenza tra ricchi e poveri è aumentata del
triplo rispetto alla media europea. Alla faccia dei buoni propositi sulla
redistribuzione della ricchezza.
3. Oggi la situazione è mutata.
Complice la sopraggiunta “povertà” delle famiglie italiane, queste ultime
hanno drasticamente ridotto la loro percentuale di risparmio in titoli di
Stato, mentre è enormemente cresciuta la quota di debito in mano a
soggetti stranieri. Esponendo il Paese al rischio di gravissimi problemi.
Il Bollettino statistico della Banca d’Italia sottolinea che dal 1995 ad
oggi la percentuale del nostro debito pubblico detenuto da soggetti non
residenti è progressivamente cresciuta dal 10% all’attuale 56%. E il
debito attuale ammonta a quasi 1.900 miliardi di euro, oltre il 120% del
PIL, che ci porta ad essere l’ottavo Paese più indebitato al mondo. Questo
significa che, ragionando per assurdo, anche se noi italiani per amor di
patria regalassimo allo Stato tutto il credito concesso, il debito
resterebbe almeno per la metà dell’attuale valore. Per assurdo, perché la
maggior parte di quei denari sono costituiti da fondi pensione o
assicurativi. E dunque, intoccabili.
4. A chi appartiene oggi il debito
pubblico italiano? La risposta l’ha data il New York Times, in seguito
alla crisi greca dello scorso anno. La Francia detiene 511 miliardi del
nostro debito, pari al 30% del debito stesso e al 20% del PIL d’oltralpe.
Il quotidiano della Grande Mela voleva evidenziare che, se il nostro Paese
piombasse in una crisi di liquidità, ne soffrirebbe tutta l’area euro, al
punto da metterne a rischio la stessa esistenza. Ma c’è un altro aspetto
da considerare. Che ci riguarda molto da vicino. Un Paese che sottoscrive
il debito pubblico di un altro, oltre ad investire la propria liquidità e
garantirsi un flusso di cassa pluriennale, ne ricava un altro effetto
positivo. Calcolabile nel lungo periodo. Se gli acquisti del Paese
creditore sono fatti durante un periodo di crisi (come sappiamo ne è in
corso una, e ci siamo dentro fino al collo), il potere negoziale
esercitabile è notevole. Il creditore può ottenere in contropartita delle
clausole nei trattati commerciali. La Cina, ad esempio, sottoscrivendo il
debito greco ha chiesto l’uso del porto del Pireo e che le future navi in
dotazione alla marina di Atene siano comperate in Cina. Il debito ha
l’effetto di incrementare le esportazioni dal Paese creditore al debitore,
favorendo la competitività delle proprie industrie. E orientando le scelte
commerciali (e strategiche) del debitore a proprio vantaggio.
5. Alla
luce di queste considerazioni possiamo comprendere perché il governo non
fa nulla per impedire che i colossi francesi acquisiscano aziende
italiane. Ma sopratutto perché ha tanta premura di tornare al nucleare,
acquistando le centrali dalla francese EDF. Ora che il nostro debito non è
più “in famiglia”, potrebbero essere proprio le famiglie italiane a
pagarne le conseguenze, a cominciare dalle pensioni. E nella peggiore
delle ipotesi, con le radiazioni. I 511 miliardi di debito che pesano come
un macigno sulle nostre spalle, a parere della maggioranza, sono una
ragione sufficiente per svendere il nostro futuro e la nostra
sicurezza.
1 commento:
. c'è qualcosa che non va: sono un libero professionista, ma ho sempre pagato le tasse, perchè i miei clienti mi tratengono la ritenuta d'acconto. Ergo: o non è vero che le tasse le agano solo i dipendenti (escludendo chi fa il secondo o il terzo lavoro) o si dicono un mucchio di fesserie. Ma tutto fa brodo: anche Forza Nuova scrive un po' quello che gli pare. Complimenti.
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