B.M.
4 feb 2013
Il mio amico Ezra Pound ha ragione.
"Il mio amico Ezra Pound ha ragione. La rivoluzione è guerra all’usura.
È guerra all’usura pubblica e all’usura privata. Demolisce le tattiche delle
battaglie di borsa. Distrugge i parassitismi di base, sui quali i moderati
costruiscono le loro fortezze. Insegna a consumare al modo giusto, secondo
logica di tempo, quel che è possibile produrre. Reagisce alle altalene del tasso
di sconto, che fanno la sventura di chi chiede per investire nell’industria, e
aumenta il mondo del risparmio, riducendone il coraggio, contraendone la volontà
di ascesa, incrementandone la sfiducia nell’oggi, che è più letale ancora della
sfiducia nel domani. Allorché il mio amico Ezra Pound mi donò le sue
"considerazioni" sull’usura, mi disse che il potere non è del danaro, o del
danaro soltanto, ma dell’usura soltanto, del danaro che produce danaro, che
produce soltanto danaro, che non salva nessuno di noi, che lancia noi deboli nel
gorgo dalla cui corrente altro danaro verrà espresso, come supremo male del
mondo. Aggiunse in quel suo italiano, gaelico e slanghistico, infarcito di
arcaismi tratti da Dante e dai cronachisti del trecento, che il potere del
danaro e tutti gli uomini di questo potere regnano su un mondo del quale hanno
monetizzato il cervello e trasformato la coscienza in lenzuoli di banconote. Il
danaro che produce danaro. La formula del mio amico Ezra Pound riassume la
spaventosa condizione del nostro tempo. Il danaro non si consuma. Regge al
contatto dell’umanità. Nulla cede delle proprie qualità deteriori. Contamina
peggiorandoci in ragione della continua salita del suo corso tra i banchi e le
grida della borsa nelle cui caverne l’umano viene, inesorabilmente, macinato. Il
mio amico Pound ha le qualità del predicatore cui è nota la tempesta dell’anno
mille, dell’anno "n volte mille" sempre alle porte della nostra casa di dannati
all’autodistruzione. La lava del denaro, infuocata e onnivora, scende dalla
montagna che il cielo ha lanciato contro di noi, mi ha detto il mio amico Pound;
e nessuno, tra noi, si salverà. Il mio amico Pound ha continuato con voi, come
mi avete detto, nella casa romana dello scrittore di cose navali Ubaldo degli
Uberti, l’analisi di come il danaro produce soltanto danaro, e non beni che
sollevino il nostro spirito dalla palude nella quale il suo potere ci ha
immerso. Non è ossessione la sua. Nessun uomo saggio, se ancora ne esistono, ha
elementi per dichiarare esito di pericolosa paranoia il suo vedere, tra i
blocchi di palazzi di Wall Street e tra le stanze dei banchieri della City, le
pareti indistruttibili dell’inferno di oggi. I Kahn, i Morgan, i Morgenthau, i
Toeplitz di tutte le terre egli vede alla testa dell’armata dell’oro. Pound
piange i morti che quell’esercito fece. E vorrebbe sottrarre a ogni pericolo
tutti noi esposti alla furia del potere dell’oro. Con il vostro amico Pound ho
parlato di quello che Peguy ha scritto contro il potere dell’oro. Conosce quasi
a memoria quelle pagine. Ne recita brani interi, senza dimenticarne alcuna
parola. Il suo francese risale agli anni parigini in cui la gente di New York,
di Boston, emigrata a Parigi, pensava ancora che l’occidente fosse fra noi.
Illusa, quella gente, che scegliendo Parigi, il potere dell’oro sarebbe andato
per stracci, almeno per questi migranti della letteratura. È, quel francese di
Pound, come un prodotto del passato, come una denuncia del troppo che stiamo
dimenticando, tutti noi che corriamo il rischio, o che già lo abbiamo corso, di
finire maciullati dal potere dell’oro".
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