Un'altra
falsità ampiamente diffusa, denuncia l’AIBI, è che
i minori adottabili italiani sarebbero in larga
parte disabili o affetti da particolari patologie,
ma anche rispetto a questo dato l'Istituto degli
Innocenti ha apportato una smentita, dichiarando
che soltanto un bambino su 10 presenta disabilità
certificate.
In
base alla situazione descritta e preso atto della
totale assenza di sensibilizzazione sociale alle
adozioni italiane, possiamo analizzare alcuni
aspetti della gestione dei Minori in questione che
finiscono con il rimanere "figli di nessuno", o
meglio finiscono con il rimanere figli di
istituzioni, dei servizi sociali e delle sentenze
di tribunale.
Questi
piccoli, accedono in gran parte alle case-famiglia
da neonati e troppo spesso ne escono una volta
diventati maggiorenni, momento nel quale si
ritrovano a dover rientrare nella famiglia di
provenienza o a rimanere fuori dal circuito della
tutela dei servizi sociali.
Queste
strutture ospitanti sono riservate a minori che
sono stati allontanati dai genitori naturali o che
si trovano in situazione di totale abbandono e
soltanto 1 su 5 degli stessi viene assegnato dai
tribunali (mediante adozione o più spesso affido)
ad una famiglia richiedente; tale media risulta
essere bassissima rispetto alle altre medie
europee, peraltro andando ad approfondire,
giungiamo in una zona paludosa rappresentata dagli
interessi che satellitano sui finanziamenti
destinati alle stesse case-famiglia dai Comuni di
competenza.
Per
ciascun bambino ospite, viene versata dal Comune
di riferimento, una quota diaria che varia dai 70
ai 120 euro; quindi soldi pubblici che vengono
riversati sulle case famiglia fino a quando il
minore rimane ivi residente, un giro di affari di
oltre 1 miliardo di euro per le 1.800 strutture
esistenti sul territorio italiano. Peraltro, si
può assistere ad un fenomeno di "competitività"
che vede strutture abbassare le quote diarie per
ciascun minore fino ai 30/40 euro per riuscire ad
elevare il numero dei propri ospitati, vista
l'opportunità di risparmio che offre al Comune in
questione.
La
realtà delle case-famiglia rappresenta una risorsa
per la comunità soltanto se ben gestita, ovvero se
viene a rappresentare un luogo di "breve
permanenza" per il minore che, immediatamente
dopo, deve essere destinato ad una collocazione
familiare di affido o preferibilmente di adozione,
visto che gran parte dei bambini in semi-abbandono
non ricevono neanche visite o telefonate dalla
famiglia naturale.
Le
coppie desiderose e disponibili all'adozione di un
bambino "solo", davanti ad uno scenario così
nebuloso, si trovano costrette a rivolgersi al
circuito delle adozioni internazionali; nelle
strutture italiane invece i minori rimangono quasi
parcheggiati "in ostaggio", immobilizzati da
grovigli burocratici, amministrativi e sanitari
che non consentono loro speranza.
Il
massimo del risultato che si riesce a raggiungere,
rimane l'affidamento che, pur se a volte "sine
die" (di tempo prolungato), non consente al
bambino di poter ricevere il cognome e di poter
godere a tutti gli effetti dei diritti giuridici
della famiglia che lo ha accolto, pertanto rimane
un apolide.
Quanto
sopra, nella speranza di poter intravedere nella
nostra Nazione spiragli di Civiltà, di Sensibilità
e di Stato Sociale.
D.R.
*fonte=http://donnesocialistenazionali.wordpress.com/2012/12/28/bambini-italiani-soli/
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