30 mar 2010

...un pò di storia ... GOUMIERS : "STUPRO DELLE ITALIANE"*

LE MAROCCHINATE

Aspettavano i liberatori ma arrivò l’inferno

di Sergio Sagnotti



La riluttanza e la scarsa memoria del nostro paese, dedita soprattutto ad una sorta di invidia esterofila dei miti altrui, ci fa dimenticare che di martiri, ma soprattutto di eroi, lo stivale ne ha avuti e forse anche più di tutti gli altri paesi dai più ammirati ed invidiati.

Nella nostra nazione sono avvenuti olocausti annegati nell’indifferenza della storiografia per 60 anni e non ancora approfonditi del tutto come le Foibe, il massacro dei bimbi di Gorla e le famose “marocchinate”, gente comune, colpevole solamente di trovarsi al momento sbagliato nella propria casa, mentre erano in atto pulizie etniche, saccheggi, violenze e stupri di ogni genere, compiuti sotto bandiere e vessilli di “liberazione”.

Nel Febbraio del 1944 gli alleati bombardarono l’abbazia di Montecassino, causando la morte di centinaia di civili; raso al suolo il monastero si passò alle cittadine limitrofe e ciò portò alla completa distruzione delle città sottostanti il monastero, Cassino appunto e altri centri urbani rurali del luogo; la stima delle vittime in questa operazione fu di circa 50.000 militari e 10.000 civili.

Ora l’esercito alleato si trovava di fronte alla linea Gustav, una catena umana che tagliava in due parti la nostra penisola, dal tirreno all’adriatico, voluta da Hitler come baluardo di resistenza tedesca in terra italica.

I continui attacchi frontali delle forze alleate alla retroguardia teutonica, si rivelarono subito infruttuosi e superflui, si decise allora di aggirare la linea nemica e questo compito fu dato dal Gen. Clark, comandante della V armata americana, al Gen. Juin comandante franco-algerino delle truppe francesi (Goumiers) in Italia; ciò perché questi ultimi avevano una maggiore predisposizione al combattimento montano.

Le truppe francesi cominciarono così l’avanzata con l’operazione che prese il nome “Diadem”, prima sottoponendo i tedeschi ad un pesante bombardamento e subito dopo attaccando Monte Faito presso i Monti Aurunci, sguarnendo la linea nemica fino alla valle del Liri, risalirono poi verso il frusinate fino ad assestarsi in Toscana.

Dove passarono però le truppe “liberatrici”, accaddero cose mai viste in quelle terre: stupri, rapine, saccheggi, omicidi, evirazioni e torture furono all ordine del giorno…

Il corpo di spedizione francese era composto da circa 110 mila unità per lo più marocchini, algerini, tunisini e senegalesi; essi si chiamavano “Goumiers” in quanto erano organizzati in “Goums”, gruppi composti da una settantina di uomini per lo più legati da parentela.

Appena sbarcati in Italia i Goumiers fecero subito vedere di che pasta erano fatti, in Sicilia, infatti, essi cominciarono a razziare e sequestrare donne del luogo considerandole “bottino di guerra” e le portarono via come prostitute. I primi episodi si registrarono sulla statale Licata-Gela, come ci dice lo storico Fabrizio Carloni, per poi proseguire a Capizzi, tra Nicosia e Troina ,qui i franco-africani si abbandonarono addirittura a stupri di massa: “…le consideravano bottino di guerra e le portavano via sghignazzando e trattandole con un linguaggio da trivio, come se fossero delle prostitute…”.

Si proseguì con lo stesso comportamento nei paesi di Mastrogiovanni (dove madri e figlie venivano stuprate e poi passate per le armi) , Lanuvio, Velletri ad Acquafondata dove ci fu addirittura un rastrellamento di donne da violentare.

La vergogna però che si compì nelle battaglie in ciociaria toccò apici clamorosi e devastanti, infatti il comandante francese Juin per incentivare e caricare le sue truppe prima della battaglia, sembra che pronunciò il seguente discorso:

Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete…”.

I suoi Goumiers non se lo fecero ripetere due volte…

Il loro premio cominciarono a riscuoterlo nella cittadina di Esperia, dove circa 3.500 donne, tra gli 8 e gli 85 anni, vennero stuprate e, nella più benevola delle sorti uccise, circa 800 uomini sodomizzati tra cui un prete (Don Alberto Terilli) che morì poco dopo, i parenti delle vittime o coloro che cercarono di difendere le donne vennero impalati…

Gli altri alleati erano al corrente di ciò che stavano facendo i franco-africani?

Le fonti sembrano dirci di sì, in quanto, già precedentemente, gli ufficiali alleati avevano richiesto in patria “l’invio” di prostitute al seguito delle truppe, per placare i desideri dei propri soldati; sapevano anche perché i Goumiers francesi avevano un’altra peculiarità , quella di evirare i soldati nemici e soprattutto quella di vendere, a quei soldati americani bramosi di ottenere elogi e galloni senza troppo rischiare, i soldati tedeschi catturati, al prezzo di 500/600 franchi per un soldato semplice e di circa il triplo per un ufficiale.

Quindi secondo alcuni storici tutti sapevano cosa stesse accadendo, De Gaulle in primis, ma soprattutto chi era sul posto come il Gen. Harold Alexander ,che molti dicono ricevette la richiesta di permesso di “carta bianca” da parte di Juin, limitandosi a contrattare con egli le 50 ore di dominio “anarchico” sulla popolazione civile. In una nota della Presidenza del Consiglio ciò si evidenzia ancora di più infatti si legge che gli ufficiali francesi: “lungi dall'intervenire e dal reprimere tali crimini hanno invece infierito contro la popolazione civile che cercava di opporvisi…” in quanto gli accordi prevedevano “mediante un patto che accorda loro il diritto di preda e saccheggio” “nella generalità dei casi essi preferiscono ignorare e da qualcuno è stato anche detto che agli irregolari marocchini spetta il diritto di preda”.

La furia franco-coloniale non si placò e continuò nelle cittadine di Ceccano, Supino, Sgurgola e paesi limitrofi (dal 2 al 5 giugno 418 stupri su uomini, donne e bambini, 29 omicidi, 517 furti) una nota dei Carabinieri ricorda la bestialità di quegli eventi:“infuriarono contro quelle popolazioni terrorizzandole. Numerosissime donne, ragazze e bambine (...) vennero violentate, spesso ripetutamente, da soldati in preda a sfrenata esaltazione sessuale e sadica, che molte volte costrinsero con la forza i genitori e i mariti ad assistere a tale scempio. Sempre ad opera dei soldati marocchini vennero rapinati innumerevoli cittadini di tutti i loro averi e del bestiame. Numerose abitazioni vennero saccheggiate e spesso devastate e incendiate”.

Starà poi alle truppe alleate franco-senegalesi completare “l’opera” infatti, prima di essere rimpatriate, infierirono ancora sulla popolazione civile in quel di Toscana per lo più nell’isola d’Elba (dopo essere passati anche in Val d’Orcia e nel viterbese).

Le responsabilità di quei tragici giorni della nostra storia, devono ricadere anche su alcuni uomini politici italiani di allora, perché, non bisogna dimenticare, che l’Italia badogliana dichiarò guerra alla Germania, diventando di fatto collaborazionista dello Stato Maggiore alleato; non meno gravi le responsabilità del governo di Unità Nazionale di Ivanoe Bonomi che non sollevò mai una protesta ufficiale per le cosiddette “marocchinate”, come del resto i governi che lo hanno succeduto per 50-60 anni e per i quali questo è sempre stato un argomento tabù e politicamente scorretto, in virtù di quella che Renzo De Felice amava definire “vulgata resistenziale”…

Dopo la guerra il corpo di spedizione francese riconobbe alle vittime un indennizzo che andava dalle 30 alle 150 mila lire a donna stuprata, tali somme vennero detratte dai danni di guerra dovuti dall’Italia alla Francia; dal canto suo il governo italiano pagò alle vittime una pensione minima e a tempo.

La cifre di queste nefandezze non sono molto chiare, si parla di circa 60.000 donne stuprate, numero che si basa sulle richieste di indennizzo ricevute; di queste vittime, una grande percentuale rimase affetta da malattie come la sifilide o blenorragia, molti furono i figli nati dai rapporti coatti, la maggior parte dei mariti e dei compagni furono contagiati dalle mogli, migliaia di omicidi, parte dei quali effettuati ai danni di chi “osava” difendere l’onore delle donne, l’81% dei fabbricati distrutti, il 90% del bestiame sottratto, così come i gioielli e ogni altro tipo di bene materiale, evirazioni, cittadini impalati, bambini (di entrambi i sessi), uomini, sacerdoti ed anche animali sodomizzati…

Ad aggiungersi a questi dati strazianti, per le vittime ci fu anche la beffa di vedersi come delle persone emarginate dalla società, non ci furono quasi mai nei loro confronti degli atti di solidarietà, molte donne vennero ripudiate, stentarono a trovare un marito ed un lavoro e molte furono quelle che non riuscirono a convivere con questo fardello suicidandosi.

Ecco una testimonianza dell’epoca:

I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre (...) da altri militari veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi…

Perché ricordare in alcuni casi è un dovere…

Riferimenti bibliografici:

Arrigo Petacco, La nostra guerra.

Tommaso Baris, Montecassino 1944, scatenate i marocchini tratto da Millenovecento, n. 14, dicembre 2003.

Tommaso Baris, Fra due fuochi.

Luciano Garibaldi, L'assalto alle ciociare, in periodico "Noi", 1994”.

Alberto Moravia, La Ciociara.

F. Majdalany, La battaglia di Cassino.

Gennaro Sangiuliano, Quelle marocchinate di cui nessuno parla. Artcolo tratto da “L’Indipendente” del 19 maggio 2006




TESTIMONIANZE IN RETE



Ascoltate bene quel che vi dico: oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c'e una terra larga e piena di donne, di vino, di case. Se voi riuscirete a passare quella linea senza lasciare vivo un solo nemico, io, che sono il vostro generate, vi prometto che quell donne, quelle case, quel vino e tutto quello che troverete sara vostro, a vostro piacimento e volonta. Per cinquanta ore potrete fare tutto quello che volete, prendere distruggere e portare via ogni cosa. Per cinquanta ore avrete carta bianca!».

E il 25 maggio del 1944, le parole del generale francese Alfonse Juin, comandante delle truppe marocchine che combattono a fianco degli Alleati, danno il via a una delle pagine piu vergognose della seconda guerra mondiale: cinquanta ore di violenze, stupri, omicidi, saccheggi corapiuti dai soldati marocchini, i cosiddetti Goumiers, marchieranno in maniera indelebile la terra di Ciociaria, dove circa duemila donne subirono l'onta dello stupro. Una vicenda terribile, resa notissima al grande pubblico dal film La Ciociara, con Sofìa Loren, e tornata alla ribalta in questi giorni per iniziativa di un avvocato di Pastena, Giancarlo Corsetti, 48 anni. Sembrava una notizia come tante: un avvocato annunciava che il 27 marzo la Corte dei conti avrebbe discusso il ricorso della sua assistita, certa Caterina R.S., di 77 anni, volto ad ottenere il riconoscimento della pensione, come vittima civile della seconda guerra mondiale.

E giù i ricordi e le rievocazioni, le prese di posizione e le speranze riaccese: tutto normale, tutto scontato... anche il paragone con il film di De Sica e la certezza che proprio dalla storia di Caterina Alberto Moravia avesse preso spunto per raccontare, nel suo libro, il terribile dramma di una sconosciuta madre ciociara.

Ma Oggi, scavando nella vicenda, ha scoperto una verità ancora più drammatica e dolorosa, una storia nella storia che, in esclusiva, proponiamo ai nostri lettori con il rispetto e il pudore che merita un dolore senza limiti: la donna protagonista del ricorso alla Corte dei conti non si chiama Caterina, ma Rosa De Lellis ed è l'anziana madre di Giancarlo Corsetti.

Così, a cinquant'anni da quei tragici fatti, il racconto del figlio di una madre ciociara ci aiuterà a capire quanto dolore e quanta sofferenza siano stati sparsi nel nostro Paese, così come recentemente in Bosnia stesso dolore, stessi drammi sono stati vissuti dalle madri stuprate dalle truppe serbe.

«Sì, è mia madre», ammette con le lacrime agli occhi l'avvocato Corsetti dinanzi al cronista.

«Ma cosa cambia? Io da anni combatto questa battaglia non per il danaro, ma perché venga riconosciuto alla donna che mi ha messo al mondo nel 1947 ed alle altre che vivono in Ciociaria e che hanno subito la stessa violenza la dignità di vittime civili della guerra.

«Ho cercato dì tenere nascosta la sua identità perché lei è anziana e malata ed anche per evitare speculazioni o false interpretaziom. Avete scoperto la verità ormai, tanto vale raccontarvi tutta la mia storia, e quella dì mia madre, partendo dalla mattina del 26 maggio del 1944, quando 14 marocchini violentarono lei ed altre sei donne che pregavano nella chiesa della Madonna delle Macchie.

«Era poco prima di mezzogiorno, il 25 maggio le truppe tedesche erano state viste ripiegare disordinatamente verso nord e qualcosa di funesto si aggirava per l'aria, non una sensazione di liberazione, ma di morte. Mia madre e le sue amiche erano scese da Pastena il loro piccolo paese, arrivando sino alla chiesa per pregare; all'improvviso sbucarono 14 marocchini vestiti solo con un lenzuolo bianco ed iniziarono lo scempio su quelle disgraziate, ripetuto, brutale, ossessivo, fino a sera.

«Mia madre venne anche ferita con un coltello e nei giorni successivi stette male, malissimo, la curarono con acqua e sale, perché non c'era altra medicina disponibile nei dintorni».

Giancarlo è disperato, il fazzoletto non riesce ad asciugare le lacrime che sgorgano dagli occhi celesti, singhiozza ed alzandosi in piedi indica con il dito la chiesa che si intravede in lontananza. «Lì, è lì che hanno brutalizzato mia madre», dice, e a fatica continua a rievocare la sua vicenda ed il dolore nel quale è cresciuto.

«Dopo la guerra, Pastena era un villaggio di martiri, ma la dignità e la forza di reazione prevalsero. Quasi tutte le donne vittime dei marocchini si sposarono, mia madre conobbe Francesco Corsetti, un costruttore edile di Sperlonga, e lo sposò. Era un uomo straordinario che, come tutti quelli maritati con le donne vittime dei marocchini, non sollevò mai il problema: il dolore divenne patrimonio comune degli abitanti di Pastena, la voglia di dimenticare anche.

«Nacqui io e, verso i cinque anni, in casa cominciai a sentire strani discorsi, anche perché mio zio, all'epoca, era autorevole esponente locale dell'Associazione vittime civili della guerra e si faceva un gran parlare di marocchini e violenza, di dolore fisico e morale, di risarcimenti e pensioni come vittime civili.

«Pian piano, ho iniziato a capire cosa era successo alla donna che, più d'ogni altra, amavo e che oggi mi fa sentire fiero di essere suo figlio. Un figlio che viene a conoscenza di quello che ho appreso io, nel corso degli anni deve recuperare il dono della ingenuità e della meraviglia dinanzi alle cose, restando sempre in adorazione della propria madre.

«Io questo dolore me lo sono portato dentro e sono cresciuto e maturato in fretta, al punto di arrivare ad asciugare tante lacrime agli altri, senza trovare nessuno che asciugasse le mie. Ma non fa niente perché io credo, come dice il Vangelo, che coloro che hanno fame e sete di giustizia saranno prima o poi saziati.

«Quando i giudici si riuniranno per decidere sul mio ricorso, vorrei che pensassero che, quando la mente dell'uomo viene offuscata dalla violenza, proprio allora occorre lottare per la conquista dell'idea di giustizia. Il dolore che io mi porto dentro dall'infanzia è stato come un aratro che ha aperto la mia anima, ma dentro sono stati seminati, da mia madre e da mio padre, i semi della forza e della tolleranza.

«No, non ho mai nutrito sentimenti di vendetta, perché la violenza non costruisce nulla.

«Sì è vero, i marocchini mi fanno paura, tanta paura, quando ero bambino li sognavo spesso avvolti in lenzuola bianche, così come me li aveva descritti mia madre, ma non mi sento, né sono razzista. Qualche volta, quando sento particolare il bisogno di stare solo, vado alla chiesa della Madonna delle Macchie e mi raccolgo in preghiera: sì, proprio nel posto dove mia madre e le altre donne di Pastena subirono la violenza dei 14 marocchini. Ma non ce l'ho con il loro popolo.

«Quello che sto facendo dal 1966, quando si sono riaperti i termini per le domande di pensione, è il più grande atto d'amore che potessi rivolgere a mia madre e lei sa che la mia battaglia è per lei. Ecco, io voglio chiudere questa pagina nera della vita di mia madre e delle altre donne ciociare con una sentenza che le riconosca vittime della guerra.

«Vorrei che questa sentenza illuminasse la terribile vicenda dei Goumiers che, agli ordini del generale Juìn, hanno devastato la nostra terra e le vite delle nostre madri».

Giancarlo Corsetti ha riaperto una ferita che, in realtà, non s'è mai rimarginata del tutto; nei paesi della Ciociaria pochi hanno voglia di parlare, come conferma Domenico Merfì, 58 anni, sindaco di Castro dei Volsci, paese a pochi chilometri da Pastena, dove sorge il monumento alla Madre Ciociara, che sottolinea con vigore la necessità che la tragedia degli stupri rimanga avvolta nel silenzio e nel pudore.

«Anni fa ho dovuto fare una ordinanza per la rimozione di una lapide che ricordava, con nome e cognome, una donna vittima della bestialità delle truppe marocchine», dice, rammentando le proteste dei familiari di quella infelice donna e rimandando il cronista alla consultazione del lavoro di indagine condotto da uno storiografo di Castro, Filippo Palatta, che sulla vicenda ha scritto un libro.

«Qui in ogni famiglia c'è una vittima», afferma Palatta, 66 anni, che fa l'animatore nella Basilica Vaticana, «ma di quella dolorosa vicenda nessuno ama parlare e del resto questo è comprensibile. L'unica persona che non si sottrae è Jolanda Pacioni, una sopravvissuta che non ha mai avuto paura di raccontare la sua storia».

«Erano le 23 del 27 maggio», ricorda Jolanda, 69 anni che allora aveva 18 anni. «Le cinquanta ore stavano per scadere. Un gruppo di marocchini mi prese assieme ad altre ragazze, uno tentò di trascinarmi dietro una ma??chia per violentarmi.

«In quel momento capì che opporgli resistenza sarebbe stato peggio edallora lo presi sottobraccio ed insieme ci incamminammo verso un fossato. Il marocchino era meravigliato e non credeva ai suoi occhi, perché il mio atteggiamento apparentemente disponibile lo sconcertava.

«Fu così che il Goumier, distraendosi, scivolò lungo un pendio del fossato, allora ne approfittai e gli diedi uno spintone che lo fece precipitare in fondo do alla cavità, ma lì iniziò la mia sofferenza, perche lo vidi imbracciare il moschetto e sparare un colpo che mi prese nel collo senza però ledere nessun organo vitale.

«Il dolore fu forte, ma attorno a me accadeva ben di peggio.

«Ho assistito a molte scene di violenza, la madre di mia cugina, per difendere la figlia, fu ammazzata come un cane Oggi si riparla della pensione, ma io ci credo poco, ci hanno dato quei quattro soldi nel 1953 e la storia è finita.

«Mi ricordo che, quando andai a Roma per ritirare le 50 mila lire che mi spettavano, la metà la consegnai a quello che mi aveva fatto la pratica qualche soldo lo spesi per comprare un portafoglio di pelle nuova e quando tornai a casa feci la distribuzione del denaro ai parenti ed i soldi finirono subito. A quel punto gettai via anche il portafoglio, perché non avevo più niente da metterci dentro».

La Ciociara. Ma anche La Bosmaca, La Ruandese, La Cilena, La Somala... quanti romanzi si potrebbero scrivere, quanti film girare sulla bestialità degli uomini?

Le storie sono sempre le stesse, i cieli sotto i quali avvengono restano sempre azzurri, il dolore, le ferite nell'anima e nella carne sono acute ovunque. Ed anche l'urlo di disperazione delle donne ciociare, che nel maggio del 1944 si è levato nella Valle di Pastena, sulla collina di Castro dei Volsci, nei vicoli di Falvaterra è attuale ancora oggi: «Basta con le guerre».

Gennaro De Stefano
(ha collaborato Laura Trovellesi)

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