
La Curia sentenzia il fallimento della regione
La legge 194 del 22 maggio 1978, che in un linguaggio da polverosa burocrazia sovietica, disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza, prevede che lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovano e sviluppino servizi socio-sanitari ed altre iniziative necessarie ad evitare l’aborto.
Su questa base legislativa va inquadrato l’intervento di Giorgio Carbone, professore di bioetica alla Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna (FTER). Il docente dalle pagine di “Bologna sette” (inserto domenicale di “Avvenire” curato dalla Curia) attacca pesantemente lo Stato e la regione. Sebbene gli aborti eseguiti nel 2008 siano stati 150 in meno del 2007, la regione Emilia-Romagna “conquista” il primato italiano con il numero di 11124: “l’equivalente di circa 370 classi scolastiche di 30 alunni ciascuna”. Se fosse lecito scherzare su un argomento tanto serio, si parlerebbe di un dato che renderebbe inutili le quote d’immigrati pensate dal ministro Gelmini.
Scomponendo la cifra per le varie provincie, si osserva che Bologna guida la classifica regionale con 2877 aborti, seguita da Modena (1843), Reggio Emilia (1363), Parma (1300) e Ravenna (1062); infine Forlì-Cesena (529), Piacenza (636), Ferrara (745) e Rimini (805). Inoltre, occorre segnalare che dal 2005 (inizio sperimentazione) al 2009 sono state 1689 le interruzioni volontarie di gravidanza praticate con la RU486.Insomma, a fronte di una regione che si vanta di aver costruito il miglior servizio sanitario d’Italia unitamente ai più vari e generalizzati servizi sociali, è difficile dar torto al professor Carbone. Soprattutto se si pensa che dal 2000 ad oggi la tendenza non è in flessione. D’altronde, è possibile riflettere sul fatto che i primi rapporti sessuali vengano consumati ad una età molto inferiore rispetto al passato. Ciò significa inevitabilmente irresponsabilità e conseguente deresponsabilizzazione, nonché separazione ideale del sesso dalla potenzialità procreativa.
Ad ogni modo, il vecchio slogan femminista che invoca “l’autodeterminazione della donna” costituisce una strada obbligata. Difficile, infatti, che possa autodeterminarsi il feto.
(nella foto un bambino alla 4° settimana)
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