31 mar 2010

ABORTO. Un moderno genocidio, nel nome di antiche rivendicazioni *


121.406 . Non è il numero di una utenza commerciale, ma quello di altrettanti italiani che, solo nel 2008, non sono mai nati. Uccisi dall´aborto, dettato da egoismo o da mancanza di un aiuto informato. E´ una soluzione facile, che nasconde un inganno del cuore: non si uccide ciò che non si può ancora vedere. Eppure vive. E alloravedetelo (immagini forti, vi avvertiamo), una volta tanto, come reagisce il feto quando si avvicina l´aspiratore del chirurgo. C´era bisogno dei moniti del Cardinale Bagnasco per risvegliare un dibattito mai veramente sopito ? Anche se da più parti si sostiene che la Chiesa abbia tirato fuori dall´armadio della Storia, giusto adesso, il problema dell´aborto, al solo scopo di oscurare un pò lo scandalo dei preti pedofili, non si può non concordare che esso sia diventato uno dei tanti sistemi di controllo delle nascite in Italia. E non importa se le femministe si arrabbieranno (si arrabbino pure...lo sono sempre, del resto, su questo argomento), ma è necessario risvegliare le coscienze, e riflettere se la c.d. autodeterminazione della donna possa sfociare, come accade ancora oggi in Italia, nell´omicidio sistematico. Sotto accusa è il supporto culturale che ha portato alla entrata in vigore della famigerata legge 194, perchè con esso si è alimentato un incredibile calo di attenzione sociale sul problema, e si è permesso di disciplinare normativamente una pratica vecchia come il pane. Solo che il pane è strumento di vita, l´aborto uccide. Sappiamo già la risposta di chi ha "cullato" quella legge: da quando è entrata in vigore il numero degli aborti si è dimezzato. Ma è solo un modo per manipolare l´opinione pubblica e distrarla dal vero problema (la possibilità di uccidere un essere vivente). E´ come riconoscere che da quando in Italia c´è l´ergastolo, gli assassinii si sono dimezzati. Nel caso dell´aborto, ne rimangono solo 121.00 l´anno...Ma i denigratori del femminismo non cantino vittoria, chè le femministe, in quanto a responsabilità morali, sono in buona compagnia: padri involontari che "non se la sentono", genitori che non informano sul sesso, lo Stato che snobba l´educazione sessuale a scuola e nella vita di ogni giorno. Nella pratica, c’è chi sostiene che l’aborto é un omicidio, altri invece lo considerano come un diritto della donna. Chi ha ragione ? Certamente è inammissibile un diritto della madre di distruggere il proprio figlio. L’ abortismo estremo, invece, invoca la libertà di farlo, chiamandolo "diritto". Ma la libertà finisce dove cominciano i diritti di altri. Il concepito è un “altro”. Qual è la differenza tra il neonato o il bimbo che sta ancora nel grembo materno ? Per quanto riguarda il nascituro, nessuna: la distanza tra un feto e un neonato è meno grande della distanza tra un neonato e un adulto. Giuridicamente, si deve dire che l’aborto è un aborto, cioè la uccisione di un figlio non nato, l’infanticidio è l’uccisione di un bimbo nel corso del parto o immediatamente dopo di esso, l’omicidio è l’uccisione di un uomo che non si chiama più né feto, né infante. Dal punto di vista squisitamente umano, ci sono diverse ragioni, più profonde, per cui é inevitabile usare i termini di omicidio e di assassinio. In primo luogo c’è la particolare irripetibile situazione della gravidanza, in cui un essere umano vive nel corpo di un altro essere umano. La sua principale difesa sta nella mente e nel cuore della madre. Nella maggioranza dei casi, però, ella subisce la pressione della società, dei familiari, del gruppo di amici, del padre del bambino, dei giornali e della televisione. Spesso poi la giovane madre è abbandonata a una angosciante solitudine (“è affar tuo"). E´ in questo momento che lo Stato mostra il risultato della sua indifferenza: l´aborto come unica soluzione, c´è la 194 ! In molti casi, ad aborto avvenuto, la donna porta nel segreto del suo cuore il dolore di un lutto. Gli specialisti parlano di “sindrome post-aborto”. Spesso la sua giovinezza, al di là delle apparenze, resta come soffocata. Dopo l’invito da parte dell’ONU a una “moratoria” riguardo all’esecuzione della pena di morte, il Direttore del Il Foglio, Giuliano Ferrara, ha lanciato l’idea di una “moratoria” riguardo all’aborto. Non è una provocazione offensiva per le donne ? No. Dobbiamo essere grati a Ferrara per aver clamorosamente introdotto sui mezzi di comunicazione sociale un paragone che da molto tempo era nel pensiero e nella riflessione cristiana. Naturalmente ottenere la sospensione delle condanne a morte è obiettivo ben più semplice del non portare a compimento in milioni di casi un proposito di aborto. Ma ciò che il parallelo vuole esprimere non è questo. Il confronto grida ciò che è vero: il figlio concepito è un essere umano, così come lo è il condannato a morte, con la differenza che il primo è innocentissimo e viene eliminato dall’aborto, il secondo è condannato perché ritenuto colpevole dei più gravi delitti a seguito di una serie di giudizi con le garanzie del processo. La richiesta di una grande moratoria sull’aborto vuol confermare anche il principio dell’uguale indistruttibile dignità di ogni essere umano. Se nemmeno il delinquente può distruggerla del tutto con le sue stesse mani, cosicché resta insopprimibile il suo diritto alla vita, com’è possibile non rispettare la dignità e il conseguente diritto alla vita che le è inerente nel concepito ? Ferrara non chiedeva altro che una integrazione dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, per indicarvi che il diritto alla vita deve essere riconosciuto “fin dal concepimento”. Si tratta di un’istanza nobilissima, importantissima, capace di restituire verità a tutta la dottrina dei diritti umani. Ferrara ha dato una scrollata al muro di incomprensione tra i “cattolici” e i “laici”. Egli proviene dalle fila dei secondi e li costringe ad uscire dall’immobilismo mentale dei luoghi comuni. Non si tratta di condannare e giudicare le donne, ma di criticare una società che crede di aiutare le donne nascondendo loro la verità con il più pericoloso degli stereotipi di genere: è la donna che sopporta il peso di una gravidanza,per cui è giusto che sia lei a decidere di portare a termine questo processo. Il vecchio slogan “l’utero è mio” non ha quindi un suo fondamento di verità ? Certo che l’utero appartiene alla donna! Ma il figlio che dopo il concepimento sta dentro l’utero non è proprietà della donna. Nessun essere umano può essere in proprietà di alcuno. Egli è ospite della madre. Certo: é un ospite particolare. Il concepito non é un "processo". Certamente la crescita dei capelli o delle unghie è un “processo” e solo colui al quale appartengono capelli ed unghie può decidere se farli crescere o tagliarli. Ma non si può decidere se un figlio debba vivere o morire. Detto questo, va riconosciuto che la gravidanza è una condizione particolarissima che coinvolge in modo decisivo tanto la donna incinta, quanto il padre. Ma questo non può e non deve significa attribuzione a lei o a lui di un diritto di vita o di morte. Ma come la mettiamo con il principio di autodeterminazione ? Non esiste una “autodeterminazione di diritto” come potere di distruggere l’altro. Il diritto d’autodeterminazione è esistente e pieno quando le scelte di un soggetto non riguardano l’altro, ma solo i comportamenti del soggetto agente e non toccano la sua stessa vita, che è indisponibile. Io sono libero di decidere se andare a letto a una certa ora o no, di fare o no un viaggio, di intraprendere o no una professione. Ma non posso invocare la mia autodeterminazione per schiaffeggiare il vicino che mi è antipatico e tanto meno per uccidere chicchessia. Riguardo all’aborto si può forse riconoscere che la donna ha di fatto la possibilità di liberarsi del figlio. È quasi impossibile impedirle di provocarsi l’aborto da sola, specialmente ora che sono in vendita preparati chimici direttamente o indirettamente abortivi. Potremmo poi considerare che anche le più severe sanzioni contro l´ aborto restano facilmente inapplicate perché la prova che una interruzione volontaria di gravidanza é stata volontaria e non spontanea é molto difficile, salvo la scoperta in flagranza o l´eventualità di complicazioni. Possiamo perciò riconoscere che vi é un potere "di fatto" della donna. Ma non si può per questo parlare di un diritto di autodeterminazione. In questo caso, la situazione di fatto non può spingere il legislatore che vuole difendere il diritto del figlio, ad usare strumenti diversi da quelli utilizzati per difendere la vita dei già nati.

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